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giovedì 16 luglio 2009

Trovato un tesoro di £ 250,000

Una casalinga trova un tesoro di £250,000 con il metal detector!
Una casalinga ha scoperto un tesoro del XVº secolo, in oro, stimato a £250,000 con un metal detector.
25 giugno 2009.
Il ritrovamento fa parte probabilmente di un reliquary o di un pendente di alta qualità e descrive la trinità santa.
La sig.ra Hannaby, 57 anni, da Hemel Hempstead, Hertfordshire, ha fatto la scoperta con il suo figlio Michael, un artigiano del legno di 33 anni.
Il tesoro era stato sepolto quattro pollici sotto terra (poco più di 10 centimetri!) per circa 500 anni...
Malgrado l'aratura ripetuta ed i tentativi precedenti per scoprire il tesoro, nella stessa zona del campo arabile fra Ashridge e grande Gaddesden.
La sig.ra Hannaby, è una ex lavorante della cucina del pub...
" Questa volta, (il metal detector) ha dato improvvisamente un suono alto..." ha detto suo figlio...
"Abbiamo sognato sempre di individuare un tesoro!".
A norma della legge sui tesori rinvenuti, legge del 1996, i cercatori devono segnalare il tesoro in oro ed argento con più di 300 anni...
I cercatori ricevono offerte, secondo il valore di mercato per le loro scoperte, su cui i musei hanno una prima opzione di acquisto...
Il ritrovamento potrebbe valere più di £250,000 (290.000 euro!) e la relativa incisione viene confrontata con quella del gioiello di Middleham, che è stato venduto all'asta per £1.300,000 nel 1986 e, successivamente, è stato rivenduto al museo del Yorkshire per £2.500,000!
Sotheby's lo venderà all'asta a Londra il 9 luglio...

Sigillo papale di Papa Clemente VII



Giocano su rive fiume e spunta "sigillo"Il sigillo papale era di Papa Clemente VII
13.07.09 - Un sigillo papale di Clemente VII e' stato trovato da ragazzini che giocavano sulle rive del Ramon, un fiumiciattolo affluente del Brenta. Il sigillo ha dormito per mezzo millennio sulle sponde del torrente, forse perduto o abbandonato da un Lanzichenecco in ritirata. Il ritrovamento e' stato fatto a Fontaniva, in provincia di Padova. Solo grazie ad uno studioso della zona, interpellato dai genitori dei ragazzi, e' stato riconosciuto il sigillo in piombo con la scritta 'Clemens PP VII'.

mercoledì 15 luglio 2009

Tesoro sepolto nell'isola di coco



La storia dell'isola di Coco sembra essere indissolubilmente legata a quella dei pirati e degli innumerevoli tesori che essi vi nascosero e che ancora oggi si cercano.
Il tesoro nascosto più famoso dell'isola è sicuramente quello che viene chiamato il "bottino di Lima" la cui storia ha inizio nel 1820 nel corso della guerra di indipendenza tra Cile e Perù. L'armata cilena stava per attaccare la città di Lima. Gli spagnoli che avevano accumulato a Lima una gran quantità di tesori e di ricchezze tentarono di metterli in salvo prima che la città venisse assediata dall'esercito cileno. Fu così che nel porto di Callao, allora territorio spagnolo, a bordo del brigantino inglese Mary Dear del capitano William Thompson, l'unica imbarcazione in grado di poter prendere subito il mare, furono imbarcate tutte le ricchezze della città. Tra questi inestimabili tesori d'oro, d'argento e di manufatti preziosi vi era anche una statua della Vergine Maria, con il Bambino in braccio. Questa statua scolpita ad altezza uomo, era probabilmente di oro massiccio incastonata di pietre preziose. Dopo aver accuratamente stivato il tesoro Thompson incaricò un prete e sei soldati di fargli da guardia. Ma tanta ricchezza si trasformò in una tentazione troppo forte per Thompson e tutto il suo equipaggio. Così una volta preso il largo il capitano fece uccidere nel sonno le sei guardie ed il prete e dopo aver dato i loro cadaveri in pasto ai pescecani fece rotta verso l'isola di Coco. Una volta approdati in questo luogo seppellirono il ricco carico contenuto in una dozzina di casse. Lasciata l'isola la nave di Thompson venne avvistata dagli spagnoli. Thompson e tutto il suo equipaggio vennero catturati. L'intero equipaggio fu impiccato mentre Thompson e un altro uomo la cui identità è ancor oggi ignota venne risparmiato a condizione che avessero rivelato il luogo dove era nascosto il tesoro. Ritornanti sull'isola Thompson e il suo compagno riuscirono a fuggire. E gli Spagnoli dopo aver trascorso una settimana sull'isola nel tentativo di catturarli nuovamente decisero di salpare. Thompson e il suo compagno rimasero sull'isola fino al momento in cui una nave in cerca di rifornimento d'acqua approdò sull'isola e portò in salvo Thompson e il suo compagno che dopo qualche giorno morì di febbre.
Dopo questa lunga avventura Thompson riprese il mare come semplice marinaio e durante uno dei suoi viaggi incontrò un navigatore canadese che si chiamava John Keating. Thompson invitò Keating a casa sua dove vissero insieme per tre mesi fino a quando in punto di morte, Thompson gli raccontò dell'ingente tesoro occultato, fornendo dati tanto precisi da permettere a Keating di effettuare tre visite sull'Isola di Coco, riportando ogni volta in patria discrete quantità d'oro e di preziosi che gli permisero di condurre una vita agiata. Ormai anziano, anche Keating pensò bene di trasmettere le proprie informazioni ad un vecchio quartiermastro, Nicolas Fitzgerald, perennemente in bolletta, che si affrettò a cedere annotazioni e mappe all'australiano Curzon Howe ricevendone in cambio una modesta somma di denaro.Questi documenti, oggi parzialmente esposti nelle vetrine del Nautical & Traveller Club di Sydney, conterrebbero, a detta di chi ha avuto l'occasione di esaminarli, dati e particolari molto interessanti.Uno dei fortunati che ebbe modo di esaminare l'intero carteggio fu il capitano francese Tony Mangel, famoso cercatore di tesori, che tra il 1927 e il 1929 approdò per due volte sull'isola di Coco, concentrando la propria attenzione su una grotta, parzialmente occultata dall'alta marea, a Sud della Baia della Speranza.Pur svolgendo delle attente ricerche, facendo uso anche di cariche esplosive, Mangel fece ritorno in Francia a mani vuote, convinto di aver perso inutilmente tempo e denaro. Ma sbagliava perché solo tre anni più tardi alcuni cercatori belgi rinvennero nella stessa insenatura, una statua d'oro alta 60 cm., raffigurante la Vergine, venduta in seguito a un collezionista statunitense per un'enorme cifra.Anche se nell'elenco originale dell'inventario lasciato da Fitzgerlad a Howe e conservato nel Museo Nazionale di Caracas, viene citata anche una Vergine di 2 metri in oro con pettorale da 780 libbre, tempestata da 1.684 pietre, tra cui tre smeraldi da quattro pollici. Poco importa che la statua rinvenuta abbia un'altezza notevolmente inferiore alla descrizione fatta da Fitzgerald, mentre è verosimile che Keating nei suoi tre viaggi per non destare pericolosi sospetti, trovata la statua che dovette certo sembrargli enorme, si sia limitato ad impossessarsi dei preziosi arredi, facilmente occultabili. Da quel momento Coco divenne nell’immaginario di tutti i navigatori più temerari l'isola del tesoro anzi dei tesori perché l'isola nasconde ben più di un tesoro. Nel 1824, prima di essere impiccato con tutto il suo equipaggio, il pirata inglese Bennet Graham, meglio noto nel Pacifico come Benito Bonito, sostò sull'isola per occultarvi un ingente tesoro sottratto al galeone spagnolo Relampago. A dichiararlo alle autorità statunitensi fu, trent'anni più tardi, la donna che lo aveva accompagnato nella sua lunga e sanguinosa carriera di pirata senza scrupoli. Confessione che anche lei fece soltanto in punto di morte non avendo forse mai cessato neanche per un solo attimo di sognare d'impossessarsi di quanto era gelosamente custodito a Coco.
Ma il miraggio del tesoro nascosto non era e non è ancora destinato a svanire.Si conta che dall'epoca di Thompson fino ai nostri giorni i tentativi per ricercare il tesoro sono stati più di trecento. L'ultima spedizione risale al 1992. In anni ancora più recenti sono molti coloro che sostengono la teoria dell'esistenza di un tesoro sull'isola.Nel 1998 un satellite della NASA ha rilevato la presenza di tre depositi d'oro sull'isola di Coco. Più precisamente due di essi si trovano sulla terra ferma mentre uno è stato individuato sotto il mare. Questa scoperta ha spinto il governo del Costa Rica ad investire denaro per promuovere nuove ricerche.

Tesori maledetti

Tesori maledetti
Accanto all'"itinerario maledetto" che contrassegna, a Rimini e dintorni, gli spiragli degli Inferi, i luoghi misteriosi, gli edifici infestati, si potrebbe tracciare una piccola ma ghiotta mappa dei tesori sepolti. Diciamo, intanto, che non c'è praticamente rocca, avanzo di castello e mozzicone di torre che non abbia alimentato qualche voce su tesori che si nasconderebbero in qualche intercapedine dei possenti muri o in qualche tenebroso cunicolo sotterraneo.Il più singolare, strepitoso e improbabile tesoro del riminese si celerebbe però nelle viscere del Monte Giove, a Santarcangelo. Qui, in una grotta non ancora scoperta, si troverebbero alcuni telai d'oro massiccio, azionati, di notte, da instancabili (e nient'affatto sindacalizzati) tessitori-fantasma. Così, almeno, la vende Giorgio Batini, premio Marzotto per il giornalismo, in un libro del 1968.Meno fiabesco è il tesoro dei Templari. Le ricchezze dell'ordine - com'è noto - erano spropositate. Nella sola Francia il Tempio possedeva novemila "capitanerie" e case fortificate. La sua rendita annuale, lira più lira meno, era di un migliaio dei nostri miliardi, che i Fratelli - che avevano fatto voto di povertà - tesaurizzavano fino all'ultimo centesimo. I capitali del Tempio erano sufficienti per comprare la Francia, l'Italia e un paio di principati tedeschi per buon peso. Nelle casse dell'ordine, la più grande banca di tutti i tempi, erano stipati il tesoro della corona francese, i fondi ecclesiastici, il denaro, i titoli e i gioielli dei privati. Quando nel 1307, con un blitz, Filippo il Bello fece piazza pulita del Tempio, ne confiscò parte delle proprietà altre ne incamerò la Chiesa. Ma il grosso dei liquidi e dei preziosi non fu mai ritrovato. Da allora lo si cerca inutilmente.A Rimini - come s'è accennato - i Cavalieri del Tempio possedevano una "filiale" di tutto rispetto, che aveva sede nella chiesa di San Michele in Foro. Va ricordato che nella città - nodo stradale di primaria importanza e porto molto trafficato - circolava parecchio denaro. Una parte cospicua l'avranno custodita, come dovunque, i Fratelli (inventori, tra l'altro, dell'assegno circolare). Dove si può cercare, ammesso che esista ancora, il tesoro dei Templari riminesi? Innanzi tutto nei paraggi della chiesa di San Michele in Foro, nella via omonima. Della chiesa, distrutta agli inizi del secolo scorso, resistono gli avanzi dell'abside. O a Gambettola, là dove sorgeva l'ospedale di Budrio, proprietà del Tempio e dipendenza di San Michele. O in qualche grotta scavata nel rosso tufo di Covignano, se si prende per buono il collegamento tra l'ordine dei Templari e la leggenda popolare dei "Frati Bianchi" delle Grazie.Il 18 febbraio del 1839 si diffuse rapidamente la voce che erano stati ritrovati una pignatta di monete d'oro del valore di sessantamila scudi sonanti e un crocifisso anch'esso d'oro. Chi fossero i fortunati scopritori e dove si nascondesse il tesoro, non si riuscì a sapere. Vero è che la Locanda cosiddetta del Vescovo, attigua alla pescheria, presentava un grosso buco nel muro esterno e che due sconosciuti furono sorpresi mentre, zitti zitti, lo allargavano. Avvicinati da alcuni curiosi, i due se la squagliarono. Che stessero cercando altre pignatte? Questo, almeno, fu il sospetto generale. La Locanda del Vescovo diverrà poi l'Albergo del Leon d'Oro.Se un "cacciatore di tesori" della domenica volesse andare a colpo sicuro, gli si potrebbe suggerire di scavare nella cantina di una vecchia casa del rione di Montecavallo. Sia però avvertito, a scanso di responsabilità, che si tratta probabilmente di un "tesoro maledetto".Il 24 febbraio del 1825 fu rinvenuto il corpo esanime di un benestante riminese, tale Sebastiano Martelli di cinquantaquattro anni, persona "alquanto pingue" (annota il cronista Filippo Giangi) e "di goffa figura". Il corpo dello sfortunato fu ritrovato nella cantina della sua abitazione, dentro una fossa aperta di fresco; non presentava fratture nè contusioni nè segno alcuno di caduta o di violenza. Una morte misteriosa.Il Martelli - a quanto si sa - aveva un chiodo fisso: che in casa sua fosse nascosto un tesoro. Ignoriamo da dove traesse questa irremovibile convinzione. E' possibile che derivasse da vecchie tradizioni familiari: voci vaghe ma tenaci, trasmesse di padre in figlio. Un giorno gli fece visita un'"indovina o astrologa". La donna, interrogata, non solo gli confermò l'esistenza del tesoro, ma gli indicò esattamente il punto dove avrebbe dovuto scavare. Previde, inoltre, che avrebbe trovato uno scheletro e, sotto, un vaso di coccio pieno di monete d'oro e gioielli. Su questo, però, la chiaroveggente fu meno categorica: se il tesoro non stava nella pignatta, doveva trovarsi qualche spanna sotto.Si può ben immaginare l'eccitazione del bravuomo. Detto fatto chiamò un contadino e, con la scusa di voler ricavare una fossa da grano, lo fece scavare profondamente nel luogo indicato dall'indovina. Come costei aveva predetto, fu rinvenuto prima lo scheletro decapitato di un uomo e poi il vaso, ma vuoto.Il Martelli, ormai sicuro di essere a un passo dalla scoperta, liquidò in tutta fretta il contadino, cenò, prese una scala, un lume e un badile e scese nella buca. Da dove non uscì più fuori. Gli scettici pensino pure a un infarto; i "cacciatori di tesori" sanno bene che ogni tesoro che si rispetti è vigilato da un "guardiano" (di solito il fantasma di un uomo ammazzato allo scopo), e che mal incoglie al temerario e all'inesperto. E, certo, lo scheletro decapitato non prometteva niente di buono. Dov'era ubicata la casa di Sebastiano Martelli? Era situata, per la precisione, "sull'angolo dirimpetto al vicolo Malpasso" (nome che è tutto un programma), "per la via detta della Liscia Grossa", dietro alla contrada dei Magnani (oggi via Garibaldi). Ce n'è abbastanza per localizzarla esattamente. E per ricominciare a scavare. A proprio rischio e pericolo, s'intende.

Gela. «No alla profanazione di un cimitero di guerra italiano.

Maria Concetta Goldini21-06-2009, LA SICILIA
Fermiamo il saccheggio dei cercatori d'oro. Nessuno violi l'"Ancona"»: il soprintendente del mare in Sicilia, Sebastiano Tusa, si è fatto portavoce di una crociata per impedire che l'Odyssey Marine Exploration, una compagnia di cercatori d'oro di Tampa in Florida, impegnata da anni nelle ricerche di tesori marini, metta le mani sul piroscafo «Ancona» e sul suo prezioso carico d'oro.E' una storia terribile e triste quella del siluramento dell'«Ancona». Fu un crimine di guerra, come titolò il Daily Mirror il 26 novembre del 1915? O si trattò di un brutale assassinio di gente indifesa e non in assetto di guerra, come lo definì il governo statunitense dell'epoca protestando con Vienna?L'«Ancona», una nave di 8188 tonnellate di stazza, lunga 147 metri e larga 17,70, giace a circa 400-500 metri di profondità in acque internazionali tra la Sardegna, la Sicilia e la Tunisia, a circa 90 miglia marine a ovest di Marettimo e a 60 miglia a Nordest di Bizerta.Quel gioiello della tecnologia, armato dalla Società di navigazione a vapore di Genova, era partito da Trieste, aveva fatto tappa a Napoli e poi a Messina per accogliere disperati diretti in cerca di fortuna a New York, tappa finale della lunga traversata. Con loro c'erano anche 12 barili di lingotti d'oro, forse frutto di transazioni tra banche.La sera del 17 novembre del 1915 il cielo era cupo. Il capitano dell'«Ancona», Pietro Massardo, si trovava sul ponte della «nave degli emigranti» quando ricevette un'informazione via radio che riferiva i sottomarini nelle vicinanze. Non ne fece però cenno ai passeggeri.Il sottomarino c'era veramente. Era l'U38 guidato da Max Valentiner. Issava bandiera austriaca ma era tedesco.La Germania allora non era ancora entrata in guerra. Tra i due comandanti ci fu un'intera giornata di comunicazioni via radio. Valentiner voleva che il capitano dell'«Ancona» consegnasse il piroscafo e tutto il suo carico. Massardo si oppose e l'«Ancona» fu silurato.Morirono 206 persone, tutte quelle che non riuscirono a lasciare il piroscafo. Una tragedia che, come per il Titanic, sarebbe stata meno pesante se ci fosse stato a bordo un numero sufficiente di scialuppe. E invece no. Tra scialuppe lanciate troppo presto in mare e sommerse dalle onde ed altre che mancavano, circostanze unite al panico dei passeggeri, quella dell'«Ancona» fu una tragedia di immani proporzioni.Fece scalpore e suscitò sdegno in Italia contribuendo a rinforzare il fronte degli interventisti.Testimonianze del siluramento dell'«Ancona» si trovano nei giornali dell'epoca, ma anche negli archivi tedeschi dove c'è il resoconto del comandante dell'U38.Nel 2007, la società americana Odyssey ha individuato l'esatto punto in cui giace il relitto e ha avanzato al Tribunale di Tampa in Florida la richiesta sui diritti del piroscafo e l'autorizzazione al recupero. Le leggi americane riconoscono il diritto di proprietà a chi trova o recupera un tesoro.Il Tribunale di Tampa ha dato un anno di tempo a chi vuole fare opposizione per presentarla.Si è fatta avanti Madrid, ma la richiesta è stata respinta perché non è un piroscafo spagnolo. L'unica che ha interessi e può opporsi è l'Italia.La battaglia per salvare l'«Ancona» dai cercatori d'oro è tutta siciliana. L'ha avviata il soprintendente del Mare, Sebastiano Tusa, chiedendo alla Farnesina di intervenire e allegando il dossier sull'«Ancona».Le autorità consolari hanno ottenuto una proroga, ma i tempi stanno per scadere e l'archeologo ieri da Gela è tornato alla carica.«Negli abissi ci sono i nostri corregionali. Quell'oro è dell'Italia e della Sicilia e bisogna opporsi al saccheggio di un nostro cimitero. Il governo italiano lo può fare appellandosi alla convenzione dell'Unesco del 2001 che tutela i cimiteri di guerra definendoli intoccabili».L'assessore regionale ai Beni culturali, Gaetano Armao, dal canto suo si è impegnato ad incontrare la prossima settimana il sottosegretario agli Esteri, Scotti, per sollecitare un'energica opposizione italiana al saccheggio dell'«Ancona».