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sabato 6 ottobre 2007

I grandi tesori sommersi

I grandi tesori sommersi
Immaginate tutto l’oro, l’argento e le pietre preziose estratti dalle viscere della Terra nel corso della Storia. Pensate ora che un quarto di tutto questo immane tesoro sia nascosto. Dove? Nelle profondità degli abissi marini, sigillato nei forzieri di velieri, galeoni e vascelli affondati. Oggi, la caccia a queste ricchezze sommerse è aperta. Ed è, più che mai, spietata. Centinaia di navi che solcano gli oceani cariche di diamanti, gioielli e monete d’oro: sono i primi anni del 1500 e la conquista delle Americhe dà il via a un intenso traffico tra il vecchio continente e le nuove colonie, incredibilmente ricche di tesori. Si moltiplicano allora viaggi rischiosi e pieni di insidie, che spesso finiscono nel buio dei fondali marini. Per avere un’idea di quanto fossero affollate le rotte oceaniche, basta pensare che solo a Siviglia e solo nei trent’anni dal 1530 al 1560, i registri portuali annotano 101 tonnellate d’oro e 567 d’argento in arrivo dal Nuovo Mondo. Ma sono perlomeno altrettanti i carichi che, in quegli stessi anni, non giungono mai a destinazione vittime di uragani, bufere e pirati. I velieri colati a picco negli ultimi cinque secoli trasportavano tesori il cui valore complessivo è stimato in oltre 400 miliardi di euro. Oggi le tecnologie satellitari e digitali rappresentano, per i nuovi corsari del mare, raffinati strumenti con cui individuare i relitti inabissati e depredarli delle loro ricchezze sommerse. Non è un caso che negli scorsi mesi si siano moltiplicati gli annunci di avvistamenti spettacolari, che accendono però furiose polemiche internazionali. Al largo della Georgia, i robot subacquei della società d’affari Odyssey identificano il relitto dell’SSRepublic, un battello naufragato nel 1865 che trasportava 20 mila monete d’oro. Negli stessi giorni in Cornovaglia, all’altro capo dell’oceano, il famoso “cacciatore di tesori” Colin Martin, annuncia invece di avere localizzato il President, lo storico veliero affondato nel 1683 insieme al suo eccezionale carico di diamanti, valutati oltre 150 milioni di euro. Ma gli occhi dei predatori sono rivolti soprattutto al largo della Florida. È lì, infatti, che il primo novembre del 1755 si inabissò il favoloso galeone Notre Dame de la Deliverance. La Deliverance trasportava oro dalle miniere messicane alla corte spagnola di Carlo III: 15 mila dobloni, mezza tonnellata di lingotti, 153 forzieri di polvere e molto altro ancora. Valore? Tre miliardi di euro. Per il recupero della Deliverance è però esplosa una vera e propria bagarre: la Spagna reclama infatti la proprietà di tutto il carico, ma la società privata americana che ha ritrovato il galeone, non vuole cedere il bottino. E non è tutto. All’epoca del naufragio la flotta spagnola era impegnata nella guerra contro la Gran Bretagna: per il trasporto delle merci doveva quindi avvalersi di navi della Compagnia Francese delle Indie Occidentali. Ecco perché anche Parigi potrebbe ora reclamare parte del tesoro… La sorte di questi tesori, oggi come allora, sembra in grado di cambiare i rapporti tra le nazioni. La Storia avrebbe preso strade diverse se alcuni carichi d’oro fossero giunti a destinazione al momento giusto. Il caso più emblematico è quello del vascello Sussex, al centro di una furibonda disputa tra Madrid e Londra. Parliamo della leggendaria “Nave d’oro”. Come sarebbe cambiata la Storia se il Sussex avesse raggiunto la sua destinazione? Lo scopo del viaggio segreto dell’ammiraglio Wheeler e della sua Nave d’Oro era infatti quello di portare un “omaggio” che convincesse il duca Vittorio Amedeo di Savoia a continuare la guerra contro la Francia di Luigi XIV. Il Re Sole. Ma il naufragio di Wheeler cambiò tutto. Amedeo II, sentendosi abbandonato, passò infatti dalla parte dei francesi, non conoscendo l’entità del tesoro a bordo del Sussex: una vera e propria montagna d’oro e d’argento, il cui valore attuale è stimato in 4 miliardi di euro. Inabissato al largo di Gibilterra giace insomma il più grande tesoro mai nascosto nel mare. 4 miliardi di euro. Una cifra da capogiro che – come si accennava precedentemente – sta portando a una rottura diplomatica tra Spagna e Inghilterra. Ma anche in Italia, il mediterraneo custodisce tesori ragguardevoli. È di quest’estate il giallo del Pollux, il piroscafo naufragato al largo dell’isola d’Elba. Un intrigo internazionale, risolto solo grazie alla collaborazione dei Carabinieri con gli ispettori di Scotland Yard. È il febbraio del 2000 quando un gruppo di sub inglesi porta l’assalto al relitto del Pollux. Il piroscafo affondò al largo delle coste elbane nel 1841, speronato dal Mongibello, un postale dei Vapori Napoletani. Puro incidente? Difficile crederlo, visto che il Pollux trasportava qualcosa che “non doveva raggiungere Genova”. Si trattava probabilmente di finanziamenti inglesi per i patrioti Italiani. Oro, monete, e smeraldi valutati trecento milioni di euro. Durante le immersioni, testimoni raccontano che la nave britannica era pattugliata da marinai armati che distruggono il relitto e spariscono con una piccola parte del bottino: monete e reperti per 2 milioni di euro. Ma a questo punto entra in gioco Scotland Yard: con l’aiuto dei nostri Carabinieri tutti i tasselli vengono ricostruiti. C’è solo da aspettare che i “corsari” si tradiscano. E il passo falso avviene puntualmente nell’ottobre 2002: a due anni di distanza dal furto, i quattro sub inglesi mettono in vendita i reperti del Pollux nelle più famose case d’asta londinesi. La loro cattura è immediata e il tesoro viene interamente restituito all’Italia. Sul fondo del Tirreno rimarrà però, ormai irrecuperabile, la maggior parte del tesoro. Immense fortune, viaggi avventurosi su velieri da sogno, mappe segrete che nascondono i luoghi del naufragio. Ci sono tutti gli ingredienti per accendere la fantasia di ricchi imprenditori senza scrupoli. Sono i “nuovi pirati”, che al posto di sciabole e uncini mostrano scafandri e detector satellitari. Ma gli sterminati fondali oceanici sono così ricchi di tesori che sarà difficile fermarli.

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